Con il DPCM del 18 ottobre, pubblicato in Gazzetta Ufficiale n. 258/2020, si torna a parlare di smart working. E in particolare delle differenti modalità di organizzazione previste per il settore pubblico e quello privato. Secondo il decreto ministeriale firmato dal Ministro per la Pubblica Amministrazione, Fabiana Dadone, nella PA lo smart working dovrà interessare almeno il 50% dei lavoratori che possono svolgere le mansioni a distanza e sarà assicurato su base giornaliera, settimanale o plurisettimanale, tenendo conto di alcuni criteri di priorità come la presenza di figli minori di 14 anni o la distanza fra domicilio e sede di lavoro. Ben diversa, invece, è la situazione per i lavoratori del settore privato, dove lo smart working fino al 75% del personale non è un obbligo ma piuttosto un “bonario consiglio”. Come spiega il Presidente della Fondazione Studi dei Consulenti del Lavoro, Rosario De Luca, sul Corriere.it del 20 ottobre 2020, “un capo azienda può chiedere ai suoi dipendenti di essere tutti presenti sul posto di lavoro per esigenze di organizzazione del servizio”. E questo, precisa De Luca “può farlo anche chi lavora nel terziario, che è il settore che meglio si presta al lavoro a distanza”. Il Presidente si sofferma poi sui rischi connessi al contagio sul luogo di lavoro. “Le conseguenze per il capo azienda – spiega – possono ricadere anche in ambito penale qualora la diffusione del virus fra i dipendenti dipendesse dalla sua noncuranza”.